LA MERAVIGLIOSA VITA
DI JOVICA JOVIC
- Jovica è un rom serbo, noto tra i rom d'Europa come maestro di fisarmonica cromatica.
Jovica ha una storia personale iperbolica: i genitori ad Auschwitz, dove morirono gli zii partigiani; le persecuzioni in Serbia durante la guerra; i campi in cui ha dovuto abitare, in Italia, continuamente cacciato; la detenzione in un Cpt da cui però non è stato espulso grazie all'intervento di alcune personalità, tra cui Moni Ovadia. ...Nella storia romanzesca della sua vita si dischiude ad un tempo anche la normalità della vita di un rom, i suoi tratti culturali fondamentali, quasi totalmente sconosciuti alla gran parte dei gagé (i non rom, come vengono chiamati nella lingua romanès).
Il libro è nato dall’incontro di tre amici per raccontare insieme la vita di uno di loro. Moni Ovadia e Marco Rovelli hanno messo in forma la torrenziale narrazione di Jovica, dialogando con lui.
Il reading combina la narrazione orale con la musica in un modo assolutamente singolare, essendo Jovic e Rovelli sia narratori che musicisti. Canti della tradizione rom e canzoni composte da Jovica si alterneranno alla lettura di brani del libro, chiudendosi con la canzone, inedita, scritta dal padre di Jovica nel lager di Auschwitz.
Nato da una famiglia di musicisti rom, per 25 anni ha suonato la sua fisarmonica in vari paesi europei, per approdare nel '96 in Italia. Ha lavorato con personaggi come Moni Ovadia e Dario Fo, ha suonato con Vinico Capossela e Piero Pelù, ha collaborato con “I Malapizzica” e il gruppo jazz “Ottavo Richter”, e insieme ai suoi Muzikanti si è esibito in numerose occasioni, aprendo anche il concerto di Goran Bregovic a Milano.
Dice Jovica: «Mio bisnonno è morto a centosei anni con il violino in mano. Io ho cominciato a suonare da bambino. La musica tzigana si suona in maniera diversa: non con le note, ma con il cuore. Chi suona con il cuore quello che sente, piange. Prima piange quello che suona, poi piange quello che sente. E questo a noi ce l’ha lasciato Auschwitz».
Dice Jovica: «Mio bisnonno è morto a centosei anni con il violino in mano. Io ho cominciato a suonare da bambino. La musica tzigana si suona in maniera diversa: non con le note, ma con il cuore. Chi suona con il cuore quello che sente, piange. Prima piange quello che suona, poi piange quello che sente. E questo a noi ce l’ha lasciato Auschwitz».